29 Marzo 2024

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La Peste del ‘600 come il Covid-19?! Mumble…


Partiamo da questo presupposto: l’accostamento tra la peste e il corona-virus non costituisce affatto un paragone scientifico né mira a generare una sorta di paura collettiva che ci faccia scivolare tutti nel panico più assoluto. Diversamente, serve a riflettere sull’imporsi di alcuni cicli storici che sistematicamente mettono il genere umano a fare i conti con il trauma dell’epidemia. Anche lo scrittore Alessandro Manzoni nel raccontare la storia d’amore travagliata di due umili giovani del ‘600, Renzo e Lucia, non poteva tacere sugli sconvolgimenti sociali, ma soprattutto morali e psicologici che la peste bubbonica generò in quel tempo.

E proprio rileggendo quest’anno a scuola i Promessi Sposi, ho avuto quasi l’impressione che Manzoni, toccando la peste del 1630, abbia per così dire previsto qualsiasi avvenimento futuro relativo ad una pandemia.

Tuttavia nell’iniziare l’analisi delle analogie che accomunano le due epidemie in tavola, ritengo doveroso far presente una differenza che, credo, sia evidente: oggi nessuno si azzarderebbe a dire che la causa dell’attuale contagio da Covid-19 sia da additare «all’influsso dei pianeti o alla volontà divina», volendo usare le parole del Boccaccio per la peste del Trecento, né tanto meno al veleno che gli untori spalmavano sulle colonne o sulle panche delle chiese come ci racconta Manzoni secondo certe leggende popolari. 

Se all’epoca, a portare la peste dall’Oriente nel Ducato di Milano sembra sia stata la pulce dei ratti diffusa dai soldati mercenari, per il Covid-19 arrivato come una bufera travolgente in Italia sempre dal Levante, per ora si azzardano solo congetture.

Sta di fatto che quello che comunemente viene indicato come “coronavirus” è entrato nel nostro immaginario collettivo da pochissimi mesi e, in un modo o nell’altro, ha già confermato due mie certezze: primo, che la nostra prima reazione alle notizie è sempre sbagliata perché o tendiamo a sottovalutare il problema (come si è fatto all’inizio), oppure entriamo nel panico totale (come sta succedendo in questi ultimi giorni); secondo, che qualsiasi cosa ci stia accadendo intorno, la storia e la letteratura, l’hanno già raccontata prima e meglio.

Tutto comincia con Tucidide e la descrizione della peste ad Atene, nell’anno 430 a.C.: la malattia, come un cecchino ben istruito e ben attrezzato, gambizzava il più forte e la città potente che ormai si trovò in bilico fra la paura di morire e la speranza di vivere, si inginocchiò a quello che sarebbe stato l’unico e vero punto debole della nostra razza umana. 

“Historia magistra vitae!” La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità e ancora una volta gli aforismi di Cicerone deducono realtà nascoste, ma che alla fine sempre si rivelano nel comportamento del genere umano: ancora oggi, noi uomini, per quanto evoluti, tecnologici e all’avanguardia, non riusciremo mai ad accettare la nostra “non onnipotenza” dinanzi alle calamità naturali.

Se un nuovo virus all’improvviso è capace di far inginocchiare il mondo intero, allora dovremmo rivedere il nostro progresso e cercare delle risposte nella storia.

Numerose potrebbero essere le analogie tra l’attuale pandemia e il contagio del seicento, o meglio gli episodi e le condizioni caratteristici di questi “mali di Dio”.

“L’assalto al forno delle grucce”, a cui Renzo ha partecipato casualmente, ricorda inevitabilmente la nostra corsa contro il tempo nell’accumulare la maggiore quantità di viveri, così come la ricerca disperata di mascherine o di alcool disinfettanti da parte delle famiglie, quasi a volersi procurare anche a qualsiasi prezzo, scudo e armi contro un nemico invisibile prima di barricarsi definitivamente nella trincea delle proprie abitazioni.

Impossibile, inoltre, tralasciare l’episodio drammatico della madre di Cecilia: il gesto materno della donna che vuole posare personalmente la propria bambina, uccisa dal morbo, sul carro dei monatti, facendolo con una dolcezza unica come se non volesse accettare la separazione dalla figlia, racchiude nella sua discrezione e sobrietà un senso di profonda disperazione e tutto il dolore insopportabile che purtroppo, in queste ore, molti nostri concittadini stanno vivendo. Questo virus atroce ha violentato le famiglie separandone i membri: le vittime si sono ritrovate sole in ospedale ad affrontare la malattia senza il sostegno dei propri cari, molti hanno emanato l’ultimo respiro senza poterli salutare e senza poter essere accompagnati al cimitero con le loro preghiere.

Il flagello della peste non mostra pietà, si trasmette e uccide senza risparmiare nessuno, senza far differenze di rango sociale: come Don Rodrigo così il principe Carlo d’Inghilterra annoverato tra i contagiati delle ultime ore.

Scene da brivido si susseguono in TV per riproporci quotidianamente una realtà non incoraggiante: mi riferisco soprattutto alla critica situazione della Lombardia dove lo straordinario senso di umanità e di solidarietà da parte di tutto il personale medico e dei volontari stanno facendo l’impossibile, a rischio della loro stessa vita, per non trasformare la regione in un misero lazzaretto. A tal proposito, mi sovviene alla mente l’immagine del lazzaretto descritto da Manzoni dove le tragiche e infelici scene di sofferenza dei malati e dei morti vengono illuminate dall’umanità e dalla grande fede di fra Cristofaro e di Lucia.

E, anche se la paura regna ancora sovrana perché il numero dei morti non tende a diminuire e il picco del contagio sembra sia ancora lontano, vorrei citare il momento della descrizione del Manzoni dell’arrivo della pioggia su Milano quando il contagio era ormai terminato: una pioggia benefica, purificatrice, quasi come se fosse una benedizione di Dio sulla terra e un premio per gli uomini che avevano avuto fede nella Provvidenza.

Oggi, la luce in fondo al tunnel mi sembra ancora molto lontana, eppure quel sentimento innato della speranza mi spinge a cercarla, ad intravederla perché tutte le battaglie prima o poi finiscono e noi questa guerra la vinceremo, come del resto ci ha insegnato la storia. Inoltre, il personaggio manzoniano di Renzo proprio alla fine del romanzo, quando tutto si era concluso per il meglio, sottolinea di essere una persona diversa perché la sofferenza lo aveva segnato, lui che aveva capito che le armi migliori sono la sapienza unita alla fede: un messaggio che nella nostra situazione si afferma in tutta la sua attualità perché, se la fede sta sostenendo la nostra spiritualità aiutandoci a gestire le nostre paure, d’altro canto il sapere e la conoscenza sono impegnati in una lotta all’ultimo sangue nella ricerca scientifica al fine di trovare una cura sicura e un vaccino che arresti l’avanzata del nemico.

D’Ambrosio Vincenzo Classe 2006

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